martedì 2 febbraio 2010

Silvia Moretti: PRESENTAZIONE/INTRODUZIONE

 Romapoesia film Festival  - 21 novembre 2009  
Viaggio intorno alla camera mentale di Gianni Toti di Silvia Moretti

Qualche parola d’introduzione, qualche nota, se possibile qualche suggestione per plasmare alcune chiavi d’ingresso all’opera di Gianni Toti. 
Anzitutto un ricordo. Una telefonata. Circa quattro, forse cinque anni fa. A un capo della linea Gianni Toti. All’altro la sottoscritta. Lui del 1924, io dell’84. Sessant’anni di distanza. Un consiglio di lettura. Non puoi non leggerlo – mi dice. Sono uscita quel giorno e quel giorno l’ho letto. Si intitolava Viaggio intorno alla mia camera di Xavier De Maistre. Un libricino sottile sottile, commovente, scritto nel 1790, quando De Maistre era costretto, agli arresti domiciliari, a non uscire di casa. La sua camera, attraversata e descritta in lungo e in largo, era il suo universo. 
Gianni Toti, in realtà, ha viaggiato instancabilmente per i quattro angoli del pianeta. Eppure aveva bisogno di ritornare nella sua camera. Aveva bisogno di far ritorno nella sua camera fisica e mentale nella quale aveva collocato i suoi quattro angoli dell’universo. 
Gianni Toti è  stato un poligrafo, pangrafo: scrittore di tutte le scritture. Giornalista sin dagli anni Quaranta, redattore e fondatore di riviste, poeta di numerose raccolte, autore di due pazzeschi romanzi, persino regista di un lungometraggio e di vari mediometraggi. Non basta. La sua è stata una vita vissuta all’insegna della sperimentazione. Dell’anticipo sul pensiero, della liberazione del linguaggio dalle sue trappole. 
A cavallo degli anni Settanta e Ottanta l’ennesimo salto. L’ennesima “poemutazione”. Un nuovo cambio di marcia mentale. Toti scardina la pagina – una pagina che aveva già frullato e non poco sulla carta, messa in movimento con giochi acrobatici e neologismi. La scaraventa nello schermo video. Compie il salto dalla poesia alla videopoesia. Da poeta diventa poetronico: poeta che si esprime attraverso i linguaggi elettronici. 

Il video – mi sono detta guardando le opere che presentiamo questa sera – è a tutti gli effetti la mirabolante camera mentale di Gianni Toti. A voi compiere il viaggio attorno ad essa. 
Solo poche parole su quanto andremo a proiettare.  
Si tratta di canti, danze, grida e denunce planetarie contro le ideologie e il precostituito, in cui la parola - centro e oggetto di riflessioni metalinguistiche nei video precedenti realizzati negli anni Ottanta all’interno del Settore Ricerca e Programmi della Rai- è qui denudata in quanto segno grafico per diventare segno sonoro, pronunciato dallo stesso poetronico. 
Una precisazione, anzitutto. La lingua totiana è un glissando di neologismi, qui soprattutto in francese. Non lo dico per scoraggiare chi il francese non lo sa. Dovrei, altrimenti, scoraggiare anche chi il francese lo sa, tanto le costruzioni verbali totiane sono architetture inedite. Lo preciso per invitarvi a prestare attenzione al contrappunto tra parola e immagine, alla sensibilità sonora che Toti arriva, soprattutto nell’ultima opera, ad elaborare nei confronti delle immagini. In questo contrappunto sta la poesia totiana. 

L’originedite, il primo video ad essere proiettato, risale al 1991. È la prima opera di Toti che si affida completamente ai linguaggi digitali. 
Dall’analogico al digitale, Toti compie letteralmente il passaggio dalla poesia come referto della realtà, alla rifondazione del linguaggio e del suo universo linguistico indipendentemente dalla realtà. 
Toti si interroga sulla formulazione di un linguaggio che riparte dal numero. Ossia da quelle due cifre, lo zero e l’uno, che costituiscono il codice binario, l’alfabeto digitale. Originedite è una parola valigia creata sulla scorta del Lewis Carroll di Alice nel Paese delle meraviglie: è una contrazione che sta per origine inedita. Un origine che chiama in causa un quadro, qui ampliamente trattato: L’origine du monde , l’origine del mondo, di Gustave Courbet, conservato al Musée d’Orsay. Nella nuova era digitale il numero è assunto a organo genitale della creazione. Organo creatore e creativo. L’elettronica, a sua volta, è come la tela di Penelope. Nel video immaginario scientifico e immaginario umanistico si incontrano armoniosamente. Toti guarda soprattutto alla pittura e alla poesia. Da una parte cita il Mallarmé dall’altra Cézanne... quel Cézanne che aveva detto: bisogna fare in fretta se si vuole ancora vedere qualcosa... 

La seconda videopoera si intitola Acà Nada. Acà Nada, da cui Canada, significa letteralmente “qui niente”. I primi cartografi stranieri sopraggiunti nelle terre del nordamerica avevano riferito in patria: “aca nada”... è un canto, questo, particolarmente suggestivo, nel quale Toti si svincola dalle prigioni ideologiche dei falsi scopritori e dei veri conquistatori colpevoli degli olocausti di ieri e di oggi 

Infine: Il trionfo della morte della fine. L’ultima opera di Gianni Toti, realizzata al Centre International de Création de Video, in Francia. L’ultima opera, in realtà, di una trilogia sulle réve-evolution. Un lungo sogno della lotta per la ragione contro i mostri dell’ignoranza e della morte. Una lotta contro le ideologie religionarie e mortifere a partire dal “Trionfo della Morte” affrescato nel campo santo di Pisa da Buonamico Buffalmacco attorno al 1336. 

Come guardare queste opere?  
L’opera è da intendere come camera mentale totiana. L’opera è ingresso e spazio del suo pensatoio. L’opera in video è il luogo in cui l’immaginazione totiana diventa a tutti gli effetti immagine. Assistiamo a questa trasformazione. Le opere sono spazi per porre delle domande sulla visione. Siamo in presenza di uno sguardo interno. Interiore. Rivolto al di dentro. Di uno sguardo immaginoso ad occhi chiusi, eppure lucido, lucidissimo. Mi spiego. 
Prendo in mano il romanzo di Toti Il padrone assoluto edito da Feltrinelli nel 1977. Nessuna trama, in realtà.  È un congegno diabolico, un “ordigno caricato a capsule di intelligenza” ha detto Mario Lunetta. Un impersonaggio, autobiografico fa da protagonista. È un vivibondo: vive la sua lunga morte in diretta. Il padrone assoluto, l’ultimo nemico da annientare, è per l’appunto la morte. L’impersonaggio totiano la vive attraverso la tanatografia – o l’optografia, ossia la scrittura della morte, l’occhio-scrittura. 
Gli dicono: Lei, intanto, si pensi pure tutto. Si racconti. Si scriva. Bastano gli occhi. Palpebre chiuse e aperte. I circuiti reagiscono. Imprimono. È cominciata una storia, se la racconti. Gialla, rossa, tenera o cruenta. Come leggere, sì. Nella camera intensiva, gli impazienti si pazientiscono, si scrivono sulle pagine-schermo, gli impulsi elettrici prima, poi la traduzione, imperfetta si capisce, ma lei può ri-vedere, correggere, ri-.  
Prendo in mano il suo primo romanzo, L’altra fame, del 1971. Un altro personaggio autobiografico che si ritira in un castello per poeti per fare dieta di pensiero. Giovanni Uristen, così si chiama: non vedeva fuori, si guardava dentro. No, non metaforicamente. Si guardava gli occhi, si scrutava le palpebre, si esplorava sotto la rossastra topografia dei capillari lampeggianti sul soffitto-schermo delle pupille.  
Lo schermo delle pupille. Lo schermo palpebra. Sono figure che tornano spessissimo anche nelle poesie totiane. 
Il video esalta gli ingranaggi della creatività totiana su carta. D’altro canto, mi pare impossibile avvicinarsi ai video se non li si fa dialogare con quanto li precede e li contorna. Le chiavi della sua opera hanno il sapore di carta. Toti scrive per pensare. Il suo pensiero si sostanzia di scrittura e di inchiostro. L’elettronica – dice Toti – va alla stessa velocità immaginativa della sua scrittura. Vi faccio un esempio della necessità di ricreare ponti tra gli universi espressivi totiani. 
A partire da l’Originedite, tutte le opere di Gianni Toti tendono ad aprirsi e chiudersi sul nero e a riavvolgersi su se stesse, nel finale, in una visione che è una “ri-capitolazione” alla rovescia. I videolaureati hanno parlato di evocazione del momento che precede la morte, quando tutta la vita ci risovviene visivamente in un istante. Immagine suggestiva, ma non ci basta. Guardiamo al poeta, alla sua scrittura. Scopriremo molte scritture sinistrorse, scritte cioè alla rovescia e un’altra cifra riccorente. Quella di numerare le pagine dei suoi romanzi al contrario. I libri di Gianni Toti iniziano con l’ultima pagina e finiscono co la prima. 
Il rovescio è da intendersi come ribaltamento delle strutture testuali e ideologiche. Il riavvolgimento sta per rottura dell’ordine precostituito di lettura, reversibilità e negazione esclamativa della fine. Nel sovvertimento della posizione dei titoli di testa e di coda, trionfi di testualità tipicamente totiana che sentirete declamati ad alta voce, il poetronico sfoggia il suo breviario di congedo. E si accumulano l’una sull’altra “non fini” e “fini continue”, “fini infinite” e “senza fine” che sospendono il messaggio alla maniera delle pagine “semperpenultime” dei suoi romanzi. L’opera per Toti non nasce mai compiuta. È lì, pronta a scardinare l’ordine precostituito e a offrirsi all’intervento creativo del lettore e dello spettatore. È una pista di lancio per un volo che squarcia il pensabile lasciando scie di nuovi sensi e significati.  
Partiti da De Maistre torniamo a De Maistre. La sua reclusione durò quarantadue giorni. Al termine, scriveva: 

Oggi alcune persone dalle quali io dipendo pretedono di restituirmi la mia libertà. Come se me l’avessero mai tolta! Come se fosse in loro potere togliermela per un solo istante e impedirmi di correre a mio piacere il vasto spazio sempre aperto davanti a me! 

Essi mi hanno proibito di percorrere una città, un punto, ma mi hanno lasciato l’universo intero: l’immensità e l’eternità sono ai miei ordini. 
                                              Gianni Toti avrebbe sottoscritto queste parole. 
                                              Gianni, che scriveva, “... con le ciglia vi parlerò, con il palpito delle tempie... 
                                              Buona visione