mercoledì 17 novembre 2010

Roma di Gianni Toti


A piazza Navona stasera, all'ombra
di carrozze e cosmichiglie
servivano "tartufi" bui e crepuscoli arancion-feroce:
ai tavolini vasti abbastanza per appoggiarvi un dito
archeosignore cullavano i loro passati
dondolando barocche parrucche di porcellana,
bambini dormitanti, esaurite le scariche motorie,
gridìvano di quandinquando per avere conferma
che il mondo continuava a girare nelle vasche,
il sole rotolò (palla perduta da qualche gioco universabile)
giù dalle spalle di un tetto che se ne era stancato,

Roma si crogiolava fra i suoi secoli
continuando a non far nulla assiduamente
perchè i secoli diventassero millenni,
il tramonto era compreso nel prezzo
del gelato e dei cucchiaini scrostati ma non tristi,
stelle gelate cadevano sui piattini e si scioglievano,
la notte salì barcollando su scalini slunari,
si arrampicò avvinghiandosi alla lancia
di pietra del Bernini e guardò giù:

eravamo tutti ugualmente imbalsamati e
forse la neo-aurora si annunciava rumoreggiando
con i carretti del mercato di Fiori del Campo Piazza -
avevamo servito bene i nostri incerti destini romani
e le nostre papille gustative ghiacciando
tutti allo stesso modo,
il nostro cosmico senso di responsabilità e ir-
era stato appagato: prendemmo i nostri sbadigli
preziosi, li chiudemmo fra i denti e scomparimmo
dentro i nostri occhi, davanti
al piccolo-schermo delle palpebre...

da Gianni Toti, "Chiamiamola poemetànoia", Carte Segrete di poesia, Roma 1974 - p. 9.

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